Dalla Torre delle Rose

Bando: Dentro il Background - Zakahr di Udrae

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    Parola: Orgoglio



    Zakahr di Udrae



    DALLA TORRE DELLE ROSE




    «Non posso soddisfare questa tua richiesta, Adormingtasa.»
    Verhon Lennincer guardava fuori dall’alta finestra a quadroni della Torre Delle Rose. Era la zona più luminosa dell’intera dimora Lennincer, dove Verhon amava curare le sue rose, appunto, come da nome. Quei fiori erano come lui: regali ma inflessibili e segretamente pericolosi. Tasa l’aveva pensato da quando era arrivata a Revorack.
    Il signor Lennincer se ne stava eretto, dandole le spalle nelle sue vesti color porpora, le mani dietro la schiena.
    Tasa si strinse una mano nell’altra, addolorata dal sentire un diniego.
    «Ti prego, mio sgnore Verhon, sarà un colloquio veloce. Non intendo turbare la quiete di Castelgiovane. Garantisco sul mio nome.»
    L’elfa vide Verhon Lennincer controluce abbassare il capo per qualche secondo.
    «E chi garantirà sul tuo nome?» l’uomo si voltò dunque per fronteggiare Adormingtasa. «È troppo pericoloso, figliola, soprattutto dopo ciò che hai vissuto. Quel selvaggio deve averti manipolato i pensieri.»
    Tasa sorrise leggermente, nonostante la velata insinuazione la infastidisse. Era contenta di sentirsi chiamare “figliola” anche se non era affatto figlia di messer Verhon. Da quando era diventata migliore amica e qualcosa come una dama di compagnia per Dilque Lennincer, Verhon la trattava davvero come una figlia. La giovane Dilque aveva un animo mite, ma sembrava desiderare una vita piena di avventure più di qualsiasi altra cosa. Peccato si trattasse solo di una nobile che non conosceva il calibro dei suoi desideri e la possibile sofferenza che avrebbero comportato.
    «Noi elfi sappiamo riconoscere gli ammaliamenti della mente, mio signore. Non hai di che temere.» rispose Tasa, sicura.
    Verhon Lennincer sospirò brevemente e si prese un lungo attimo per pensare.
    «Come desideri, allora. Non posso che fidarmi. Sarai scortata da sir Enthon, però, e Dilque non ti accompagnerà. Gli dèi solo sanno quanto l’attacco di quel furfante abbia turbato la mia sventurata figliola»
    Tasa si esibì in un discreto inchino, preferendo non commentare sulle influenze del prigioniero su Dilque Lennincer. La nobile figlia di Vehron era stata molto spaventata da lui, ma da quando erano tornate a Castelgiovane non aveva fatto altro che ripetere con meraviglia quanto fosse grande il mondo là fuori. Più che turbata, Dilque desiderava solo di più lasciare le mura della sua nobile dimora.
    L’incontro fu stabilito per quel pomeriggio. Tasa sarebbe scesa nelle segrete accompagnata da sir Enthon per conferire con il prigioniero.
    Anche Tasa, da qualche parte nel suo intimo, lo temeva. Temeva il drow che l’aveva rapita circa un mese prima e che poi era stato catturato a sua volta dalla nobile famiglia della sua migliore amica. Avevano salvato anche lei dal Sottosuolo, la dimora dei drow, ma Tasa ne era rimasta profondamente turbata… per diverse ragioni.
    Scese per le scale delle segrete con la rassicurante ombra di sir Enthon alle spalle. Era già sicura che lui avrebbe interferito parecchio nella conversazione che avrebbe avuto col prigioniero, a causa del suo forte senso di giustizia e rispetto.
    Il drow prigioniero se ne stava all’interno della sua cella senza emettere rumore, dietro le sbarre di ferro. Era l’unica cella ancora piena: di certo i Lennincer non amavano tenere prigionieri. Gli altri erano stati tutti venduti come schiavi o uccisi prima di arrivare in cella. Il dominio di Revorack aveva fama di essere pacifico. Solo la sparizione della figlia del signore di Castelgiovane avrebbe potuto smuovere le sue armate.
    Erano state abbastanza per minacciare i drow del sottosuolo e trarre Tasa e Dilque in salvo.
    Tasa conosceva il nome del suo rapitore: Kelagecer. Ma non l’avrebbe pronunciato. Non avrebbe chiamato per nome la persona che l’aveva rapita per renderla schiava nel Sottosuolo. Non che in effetti l’avesse anche mai pronunciato prima. Aveva un solo appellativo per lui, e questa volta sarebbe suonato decisamente di scherno, data la situazione.
    «Buonasera, principe» lo salutò distaccata, senza avvicinarsi troppo alle sbarre.
    Kelagecer era seduto sull’unica panca della cella, col capo basso e gli occhi pieni di un odio che Tasa difficilmente ricordava di aver mai visto in altri occhi.
    «Ho delle domande per te.» proseguì. Nella cella rimase solo il silenzio e così nel corridoio delle segrete. «Devo sapere di quella cura di cui parlavi, quella per il Morbo Buio.»
    Di nuovo, placatasi l’eco della voce dell’elfa, rimase nient’altro che silenzio.
    «Rispondi, vile ratto di fogna» aggiunse sir Enthon, nascondendo male una nota d’ira nella voce. «Conosci già la tua punizione, altrimenti.»
    Tasa strinse le labbra. Sapeva che la punizione dei prigionieri era la frusta e non voleva essere quello per Kelagecer. Nonostante lo temesse e lo disprezzasse, era sicura che nessuno meritasse di essere punito così. Anche lei era stata dall’altra parte delle sbarre, non troppo tempo prima.
    Si voltò dunque velocemente verso sir Enthon.
    «Non saremo come i drow del Sottosuolo», chiarì. Poi tornò a rivolgersi a Kelagecer. «Non conoscerai la frusta, ma la fame. Finché non otterrò risposta da te»
    Un altro lungo momento di silenzio e Tasa sospirò. Non avrebbe ottenuto nulla. Probabilmente quel drow si sarebbe lasciato morire di fame pur di non pronunciare la benché minima parola. Il suo orgoglio era fin troppo per permettergli di piegarsi al suo volere. In ogni caso, sarebbe tornata ogni giorno per cercare di farlo parlare, questo era poco ma sicuro.
    Stava per ritirarsi e dirigersi verso le scale, quando un tintinnio di catene attirò la sua attenzione.
    «Si chiama Neravaglia.»
    La voce di Kelagecer era profonda e piuttosto calma per trattarsi di un prigioniero. Tasa ebbe un brivido. Aveva esattamente lo stesso tono di quando le ordinava di svolgere le mansioni giornaliere nello Svartâ. Come se avesse avuto tutta la situazione sotto controllo e fosse stato sicuro di uscire da quella cella da un momento all’altro. Fu questo a provocarle il brivido.
    Si fermò a metà del suo percorso e si voltò, senza avvicinarsi di nuovo alla cella.
    «Cosa dici?»
    «Si chiama Neravaglia, non Morbo Buio.»
    Tasa rimase per un attimo in silenzio, segretamente in collera con sé stessa per essersi lasciata correggere da lui. Era odioso come quel drow fosse sempre capace di far sembrare gli altri dei perfetti idioti. E quello che ancor di più lei odiava era il fatto che, pur trovandosi dietro le sbarre, fosse lui ad avere il comando della conversazione.
    «Chiamala pure come vuoi. Non cambia il fatto che la mia tribù ne stia morendo.» ribatté. «Mio fratello è stato contagiato e non lascerò che la superbia di un drow spregevole come te lo lasci morire. Ti dò tre giorni per decidere se sarai tu a dirmi come curarla. Altrimenti conoscerai la spada di sir Enthon.»
    «Sarà un piacere, mia signora» aggiunse il cavaliere al suo fianco.
    Seguì un momento di silenzio prima che si udisse di nuovo il tintinnio delle catene ai polsi di Kelagecer.
    «Se te lo dicessi, otterrei la libertà?»
    Quella era un’alternativa a cui Tasa non aveva pensato. Era convinta che chiunque avrebbe preferito aver garantita la vita rispetto alla libertà. Ma se i drow erano tipi strani non era certo cruccio suo.
    «Potresti», decise dunque di rispondere. Non sapeva se quello che stava dicendo fosse vero, ma ne avrebbe potuto parlare col signor Lennincer. «Tra tre giorni ascolterò la tua risposta»

    🔹




    «Non è possibile, Adormingtasa. Non lascerò un simile malvivente libero per le strade di Revorack.» questa fu la risposta tassativa alla richiesta dell’elfa.
    Era quasi strano che Tasa glielo avesse chiesto davvero. Aveva anche avuto l’idea di promettere falsamente la libertà al prigioniero pur di ottenere le informazioni che desiderava, ma aveva subito risposto a sé stessa che non avrebbe più vissuto bene se fosse stata tanto disonesta da farlo.
    «Quel malvivente sa qualcosa su come curare la malattia del mio popolo!» rispose l’elfa. «Non negarmi questa possibilità, mio signore. Non adesso che ci sono così vicina.»
    Il signore di Castelgiovane fu però irremovibile. Aveva ribadito che il drow fosse un suo prigioniero prima che di chiunque altro e per questo sarebbe stato lui a dettare la sua sorte.
    «Capisci? È quello che ha detto.» esclamò Adormingtasa, lasciandosi cadere seduta sui divanetti ricoperti di tessuto di broccato. Dilque sedeva di fronte a lei sulla sua poltroncina preferita, un libro in grembo che però era rimasto distrattamente aperto sull’ultima pagina letta. Da quando Dilque era tornata dal sottosuolo non era più riuscita a leggere un romanzo di avventure senza pensare che non le bastasse più soltanto immaginarle.
    «Temo che il motivo dietro le sue parole sia un altro, amica mia.» sentenziò la nobilotta dai lisci capelli corvini che le ricadevano setosi sulle spalle. Sorrise leggermente, anche se Tasa riuscì a leggere una nota appena amara nella piega delle sue labbra.
    «Il lord mio padre non vuole assecondare i tuoi desideri perché teme la tua dipartita da Castelgiovane. Il tuo allontanamento da me. Suppongo tema che io possa seguire il tuo esempio: vorrei tanto viaggiare e noi due siamo così legate.»
    Tasa si piegò in avanti, appoggiando la fronte al palmo della mano. «Perdonami se dico questo, ma lui è padrone tuo e non mio. Ho una missione importante da compiere. Saprà di sicuro che non posso permettermi contrattempi. Per quanto io sia molto affezionata a Revorack e Castelgiovane, a breve dovrò andare. Il mio popolo sta morendo.»
    Calò per un attimo il silenzio e Dilque abbassò gli occhi. Non sembrava colpita da quelle parole, ma Tasa sapeva riconoscere quando la sua migliore amica provava dispiacere.
    «Parlerò io con mio padre. Acconsentirà, vedrai. Ho a cuore la tua famiglia come tu hai avuto la mia.» disse però la nobile.
    Tasa non poté far altro che ringraziarla sentitamente.



    🔹



    C’erano giorni in cui Tasa e Dilque passavano giornate senza vedersi totalmente, nonostante abitassero la stessa dimora. Spesso Tasa si recava in biblioteca o aiutava erboristi e guaritori della città per cercare di scoprire un metodo per combattere il Morbo Buio.
    Alcuni guaritori all’inizio l’avevano illusa. Chi le aveva detto di conoscere rimedio per poi scoprire di chiamare “Morbo Buio” un’altra malattia; chi era convinto di poterla curare con i soliti infusi o i soliti incantesimi; e chi non aveva fatto altro che prenderla in giro soltanto per cercare di attirare l’attenzione di una graziosa elfa con i capelli chiari che le scendevano ad onde sulla schiena. Un’ingenua elfa proveniente dalle ridenti montagne, vestita di pelle di capra e montone e che nulla conosceva del mondo civilizzato dei regni del sud.
    Tasa sedette sul suo letto a fine giornata, adesso nei suoi soliti abiti leggeri. Nella terra di Eönwë faceva molto più caldo di quello a cui era abituata. L’estate non era soltanto tiepida, ma calda. Al confronto, l’estate della Rupe dei Draghi doveva essere nient’altro che primavera per loro.
    Adesso avvolta nel suo abitino di organza, l’elfa si accorse di un biglietto di pergamena piegato in tre. Era stato lasciato sul suo comodino. Si allungò per afferrarlo e lo lesse.
    La scrittura di Dilque era tondeggiante, infantile, piena di svolazzi che le avevano accuratamente insegnato a tracciare i suoi maestri di calligrafia. Tasa aveva imparato benino a scrivere, ma certo non sarebbe mai arriavata alla grazia della penna della figlia del lord.
    La sua migliore e nobile amica le comunicava che quel pomeriggio aveva discusso con suo padre, addirittura animatamente, per non riuscire ad ottenere alcunché. Di nuovo lord Verhon l’aveva rimandata indietro negando la possibilità di liberare il prigioniero o di conferire con lui, almeno per la figlia. Non si era neppure esimato dall’aggiungere che dovevano entrambe dimenticare quel tagliagole, abietto, immeritevole di vita e di memoria e tanti altri insulti via discorrendo.
    Terminato di leggere, Tasa ripiegò la lettera e la lasciò furiosa sul mobile.
    «Con chi diavolo crede di aver a che fare», si ritrovò a mormorare tra sé, oltremodo adirata, sentendosi quasi offesa. «Non è mio padre, né mio fratello. Non può permettersi di sancire la morte della mia famiglia per un suo capriccio»
    Dilque si era riservata di specificare che aveva usato soprattutto l’argomento della famiglia di Tasa per poterle permettere ciò che desiderava. Ma il lord di Castelgiovane era rimasto sordo a quell’appello.
    Dunque l’elfa non ci pensò su neanche un attimo: raccolse le sue poche cose, recuperò dagli armadi di olmo la sua sacca e il suo bastone da viaggio e scese per le scale della dimora.
    La notte era scura ma non tutta la servitù dormiva ancora. Tasa però poté solo sorridere cordiale ad alcuni, senza fornire spiegazioni a nessuno.
    Sarebbe scesa nelle segrete per trovare quel prigioniero e poi una volta legato se lo sarebbe portato via nelle stalle, dove Aane la aspettava ormai impaziente da giorni, sicuramente stufo di ingozzarsi di insipido fieno. Avrebbe dovuto sellarlo, di sicuro.
    Si assicurò che nessuno si accorgesse di lei quando giunse nell’androne di ingresso ed imboccò la scalinata che scendeva nell’oscura prigione.
    Il silenzio e l’umidità di quel posto le mise i brividi come la prima volta. Di contro, però, era vestita del rassicurante tessuto che conosceva a memoria, con i riccioli di agnello che foderavano il suo mantello ad accarezzarle le spalle nude. Quella era la sensazione di casa, quella che aveva lasciato con la promessa di trovare una cura.
    «Principe», sussurrò, e la sua voce rimbombò molto più di quello che avrebbe voluto. Nessuno però rispose e laggiù non era neanche accesa una torcia.
    Già si aspettava la voce impertinente del drow che le ricordasse di essere in anticipo. Lei gli aveva dato tre giorni prima di avere una risposta, ma quello era solo il secondo. E ovviamente il prigioniero non avrebbe fatto a meno di ricordarle quanto fosse inadeguata ed inesperta in fatto di minacce.
    Solo che non rispose nessuno.
    Tasa avrebbe voluto chiamarlo di nuovo, ma non lo fece. Non voleva che la sua voce riecheggiasse ancora col rischio di attirare attenzioni indesiderate. Per un attimo aveva creduto che il prigioniero stesse dormendo, ma non poteva essere così. I drow vivevano solo di notte, l’aveva imparato nello Svartâ. Ebbe la conferma del sospetto che le si era appena insinuato nella mente quando andò a sbattere col piede alla porta a sbarre della cella, aperta. E vuota.
    «Non è qui.»
    Tasa si voltò col cuore in gola, verso la porta di ingresso da cui proveniva la voce.
    «Sir Enthon?»
    Il cavaliere mise un passo che risuonò metallico a causa dell’armatura e scese per la corta rampa di scale che conduceva al corridoio con le celle.
    Tasa si sentì scoperta, ma dal tono di Sir Enthon forse poteva ancora sperare che lui non avesse supposto le sue intenzioni.
    «Lo avete lasciato scappare?» esclamò, sottovoce. Non vedeva bene in volto il cavaliere, ma i suoi occhi lo cercavano disperatamente nel buio.
    «Ci mancherebbe altro.» commentò sprezzante il sir. «Lord Vehron l’ha spedito nelle piantagioni del conte di Danaend. Non penso lo rivedrete più.»
    «No!» si lasciò sfuggire l’elfa. Cercò di ricomporsi quando sentì di nuovo l’eco della sua voce. «Non può avermi fatto questo. Ne va della mia famiglia.»
    «Ne sono consapevole. Tuttavia, il lord temeva per l’influenza che avrebbe potuto avere su sua figlia… e su di te, mia signora.»
    Tasa raddrizzò la schiena e alzò il mento, indignata. «Nessuno gli ha chiesto di provvedere per ciò che “lui pensa” possa influenzarmi. Sono perfettamente in grado di badare a me stessa.»
    «Come laggiù nello Svartâ, milady?» rimbeccò prontamente il cavaliere. Tasa diede colpa all’oscurità intorno a lei se Sir Enthon era ancora vivo. Era sicura che il suo sguardo, in quel momento, sarebbe stato capace di incenerirlo.
    «Sono grata al lord di Revorack per avermi salvata ma questo non gli permette di prendersi simili libertà. Soprattutto quando sapeva quanto fosse importante per me! Perdonatemi, sir Enthon, fate bene ad essere fedele al vostro signore. Ma non permetterò né a te né al lord questo affronto.»
    Detto ciò, decise di superarlo per tornare all’entrata delle segrete, anche se non era sicura di aggirarlo nella giusta direzione. Il cavaliere però la afferrò da un braccio per fermarla.
    «Cosa intendi fare?»
    Tasa si voltò, cercando ancora una volta di riconoscere il suo volto. Dalla porta proveniva una leggera luce traballante delle torce e fu sicura di star parlando proprio con lui e non con qualcuno di diverso.
    «Me ne vado. Di’ pure a lord Vehron che l’orgoglio mi ha impedito di rimanere.»
    Quando Adormingtasa sellò Aane e lasciò la fortezza in groppa alla fedele renna, solo la luna le illuminò il cammino. Solo la luna alta nel cielo le indicò la via per uscire da Revorack e procedere spedita verso le praterie dei domini di Danaend, dove la risposta alle sue ricerche l’aspettava. E Tasa fu sicura che il lord, dalla sua finestra a quadroni, nella Torre delle Rose, la stesse guardando.





    Edited by Kiramor - 12/2/2019, 23:52
     
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