Scrutare il cielo notturno

【 ORYX LIGHTSHIELD 】

Umano Aurora | Antipaladino/Barbaro | Liv 8 | C/M | Scheda | Oryx's Room

Arisia.
Aveva riposato tutto il giorno pensando a quel nome. Quell’unico nome che aveva ricevuto in sogno, insieme alla visione della tiara su quell’altare.
L’oracolo gli avrebbe indicato la via… ma come, se nemmeno lei sapeva cosa fosse “Arisia”. Una costellazione sconosciuta anche a lei che le stelle le aveva osservate per un sacco di tempo.
L’aveva vista ricucire il vestito, l’aveva osservava di sottecchi, desiderandola… eppure da solo non riusciva a dimenticare il sogno.
Ricordava dettagli su dettagli, come se avesse camminato nel tessuto dello spazio.
Doveva fidarsi di quello che la voce gli aveva detto?
Doveva davvero pensare che quell’oggetto che voleva… sarebbe stato utile a qualcosa.

E mentre Fany cercava di capire di più, Oryx se ne stava nella stanza che li aveva visti unirsi, a detta dell’oracolo.
Cercava di capire, fallendo ogni volta, perché la dea della follia aveva deciso di far vedere quelle cose. Aveva deciso di permettergli di scendere giù, in profondità.
Quant’era complessa… la sua mente?
Quant’era profonda?

Untavor prima, Arisia poi… le risposte erano lì, sotto i suoi occhi ma il guerriero nero non riusciva a trovarle.
A comprendere e passò quel pomeriggio a cercare di capire.
Vagò per il tempio, ormai vuoto, mangiò e pensò.
Solo Fanyare avrebbe potuto aiutarlo a capire, secondo la donna fatta di stelle.
Ma come?

Nel pomeriggio tentò un nuovo sogno lucido, ma non ci riuscì. Forse non venivano a comando. Forse doveva votarsi a qualcos’altro.
Forse doveva aspettare la Luna nera?
Quando però Fany tornò, lui si alzò dal letto quasi di scatto.
In canotta e Braghe, Oryx guardò l’elfa. Hai scoperto qualcosa su quest’Arisia? Come ti senti? non sapeva perché quella seconda domanda, ma gli venne… quasi spontanea.

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Quando le parlò, la donna si voltò verso di lui come se fosse stata risvegliata da un sono ad occhi aperti. Forse nemmeno s’era accorta della sua presenza in camera o, forse, non c’aveva dato nemmeno peso. Quel pensiero gli lasciò un certo amaro in bocca.
Era come se quel giochino che facevano, a volte, lo indispettisse, più che divertirlo.
E lo faceva quando lui perdeva. Odiava perdere.

Era insopportabile sentire quella sensazione di pesantezza sullo stomaco, ma quando lei s’avvicinò al suo letto, dopo aver constatato che fosse sveglio, non poté che far un sorrisetto soddisfatto. Alla fine… tornava sempre, giusto?
Si. Ti aspettavi dormissi tutto il giorno? Per chi mi hai preso? Un debole come quel… Fren, Frod… Come si chiamava il tizio di cui ho divorato il cuore?
Disse, facendo il finto tutto.
No, il nome lo ricordava benissimo. Eccome se lo ricordava. Fred. Voleva l’avventura. Aveva trovato la morte per dar a lui risposte confuse.
Dopotutto… una grande conclusione per una vita vuota.

Mi sento bene anche io, anche se ho girato per il tempio, sembrava deserto. Non trovandoti, mi chiedevo se Diana potesse venire a farmi compagnia. Ma non ho trovato nemmeno lei. Peccato. Provocò, con quel tono strafottente, come se la stesse sfidando.
Ma no, non aveva dimenticato la sua testa sulla spalla, in quel contatto che aveva tanto desiderato. Una possessività malata, che voleva venisse ricambiata da lei.
Non avrebbe smesso di farla ingelosire, non avrebbe smesso d’impedire a quella donna di mostrare il suo lato più bestiale… quello che lo intrigava di più.

Com’è possibile che una costellazione non sia mai esistita. Eppure… io l’ho vista. Me l’ha fatta la donna fatta di stelle. Disse l’uomo, convinto di quello che usciva dalla sua bocca. Non poteva essere una presa in giro, su quello ne era sicuro.
Ma quando sentì lo stomaco di Fanyare brontolare, la guardò per un attimo. Che quella fosse apprensione? Eppure durò solo per un istante, prima che la donna gli mettesse la mano sotto il mento.
Quando avrebbe voluto che quegli artigli gli penetrassero la carne, che quello scherno crudele si trasformasse di nuovo in violenza. La loro violenza.
Ma il richiamo della costellazione misteriosa era troppo forte e lui voleva scoprire. Vedere dove puntava Arisia.
Vederla nascere oppure… morire.
Anche la prima volta che ci siamo parlati davvero eravamo vicini ad una torre. C’erano le stelle. Non c’è niente di più “Romantico” in effetti. Rispose con tono crudele, invece che sognante, mettendole poi una mano sul polso, stringendo leggermente.
Vediamo se trovi quest’Arisia con il mio aiuto, Oracolo. La provocò, prima di scostarle la mano ed alzarsi.
Ma devi mangiare. Non vedrai nulla a stomaco vuoto.

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L’elfa era un mistero per lui. Eppure lui era abituato ai misteri. Viveva costantemente senza sapere dove e perché c’andava, guidato da una voce demoniaca e malevola che gli parlava dal fondo della sua mente turbata.
Eppure… non riusciva proprio a capire se in quelle parole ci fosse gelosia, indifferenza o divertimento. Seppe solo risponderle.
Sono esigente… che vuoi farci. La provocò ancora. Fosse stato per lui, se avesse potuto vincere, quel giochino sarebbe andato avanti all’infinito.

I Loro occhi s’erano incontrati e nonostante gli avesse messo una mano sul polso e le avesse sussurrato parole romantiche con crudeltà, lei era sempre lì, che gli stringeva il mento come se fosse stato il suo trofeo.
Immaginava che lei volesse bloccarlo con un collare, incatenarlo a lei senza farlo andare più via, quel mastino folle.
E nel profondo, Oryx desiderava quello. Essere incatenato alla sua dama di sangue, donarle tutto il sangue e la violenza che desiderava, riempire quel vuoto con un sentimento che non poteva essere amore.
Perché lui non lo conosceva e non era capace di provarlo, o almeno lo pensava.
Lui voleva solo la vendetta e la violenza.
E lei era lì per accogliere tutta la sua furia come un buco nero, che risucchia tutto al suo interno. Lui era colui che procurava il sangue.
Lei era colei che ne aveva davvero bisogno.

L’aveva nei suo occhi, mentre strappava il cuore a Fred per mangiarlo, quello sguardo folle e sognante. In quel momento Oryx si sentì davvero innebriato d’attenzioni.
Chissà se aveva guardato anche Adrian in quel modo, Fanyare.

Mi preoccupo, si. Che tu svenga e che non riesca a vedere la costellazione. Sbuffò lui, come se fosse stato colto in fallo con quella frase forse troppo gentile per lui.
Ma quando la donna tornò seria, dicendogli che avrebbe raccolto qualcosa dalle cucine e d’aspettarla al piano superiore, il guerriero nero annuì.
Le pergamene… le porto sulla torre? Chiese, prima di separarsi.

Il luogo che lo accolse, dopo una piccola scala a chiocciola non era certo quello che s’aspettava, spoglio e colpito dalle intemperie.
Temporali violenti e torride giornate. Gelo e Brina. Quante cose aveva visto quel posto. Eppure era il luogo dove Fanyare ammirava le stelle, in quel cielo che diventava sempre più scuro.
Eppure quel luogo non gli comunicava opulenza, bellezza e sfarzo. Ma gli comunicavano… Solitudine. Una solitudine profonda e soffocante.
Ed una sensazione di Deja vù lo colse. Passò le dita sul tavolo consumato, prima d’avvicinarsi al bordo della torre.
Quanto tempo era stata sola, Fany, nella sua vita? Quanto in realtà… aveva patito.

Guardò il cielo, sempre più scuro, ponendogli una domanda. E’ per questo che l’hai scelta, Urash?

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Continuava ad osservare quel cielo che stava per scurirsi, con le prime luci della notte ad illuminarlo. Era pieno di domande, di richieste… voleva comprendere Arisia, voleva capire la via da seguire in quella strada fatta di sangue dolore.
Ma al contempo non capiva come doveva comportarsi. Doveva trovare un oggetto e l’oracolo gli avrebbe indicato la via.
Eppure la voce che aveva dentro non aveva mai sopportare Fany, perché adesso doveva essere diverso.
La paura d’essere ingannato era tanta, ma la ricerca spasmodica del potere era troppo allettante.
Non si doveva fare scrupoli.
Mai.

E allora perché, in quel mare d’odio gli sembrava di preoccuparsi per quella donna crudele? Perché pensava d’essergli tanto simile, quando erano agli antipodi?
Perché quel tavolino gli dava quel grande senso di solitudine?
Una solitudine che anche lui aveva provato. Una solitudine che Rabastan Van amava fargli provare, anche quando aveva ucciso il suo povero cane.
Ma aveva scelto lui la via della follia. Nessuna divinità l’aveva mai ascoltato, nessuno era mai corso in suo aiuto se non per sfruttarlo.
Nessuno… tranne lei.
Ma lei l’aveva detto. Lo faceva perché le faceva comodo averlo vicino.

E allora perché sentiva che quel rapporto era qualcosa di più, pure per l’elfa. Perché sentiva che in quei non detti ci fosse… molto altro.

Il suo pensare, scrutando il cielo notturno alla ricerca di qualche stella si concluse quando la donna giunse finalmente da lui.
Gli porse del povero pane con una fetta di carne sopra e lui non poté che sorriderle divertito a quella battuta.
Non sarei cavaliere se mi rifiutassi. Le disse, andando a sfiorare la mano della donna.

Prese il pane e lo addentò, appoggiandosi poi al rostro della torre. Non era buono. La carne non era di qualità ed il pane sembrava non essere fresco, ma si accontentava. Era povero quel tempio ma era l’unico posto in cui potevano rifugiarsi l’oracolo e il novello discepolo della Dea della Follia.
Mi aspettavo almeno una tendina, una sedia… non un tavolaccio e null’altro. Ammetto d’essere sorpreso. Mi aspettavo qualcosa di molto più spettacolare Le disse, voltando lo sguardo all’indietro verso il cielo.
Hai trovato solo questo.. da mangiare?

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Continuava a giocare, a provocarlo anche in quel semplice morso. Quel pane sembrava essere la delizia migliore del mondo, addentata da lei.
Sembrava che ogni movimento fosse buono per cominciare quel giochino che non li stancava mai e di cui Oryx era dipendente.
L’odiava e l’amava allo stesso tempo, incapace di staccarsi.
Come se tu mi fossi mai piaciuta in quella torre dorata. Mi ricordo quando ti venni a prendere ed andammo a farci un giro per Rivorosso.
Eri ancora la Tarchionessa ed io ero solo un banale cane pulcioso, che sbavava per i tuoi capelli biondi.

Non che fosse cambiato molto e lo sapeva pure lui. Era cosciente che il loro rapporto malato e di dipendenza costate fatto di ossessione, odio e violenza, li portasse a perdersi in quell’oscurità che era il cielo notturno.
Dopotutto era stato un rito a vederli uniti per la prima volta, tra il sangue e la follia. Ed Oryx non s’era mai sentito così libero, anche se aveva nuovamente forgiato delle catene intorno al suo collo, più resistenti e massicce che mai.
Anche se ora… sembra essere cambiato qualcosa, vero Fanyare? Il Tarchion ricco e potente è senza consorte, rubatagli da un brigante senza onore. Disse, mostrando un sorriso soddisfatto per quella stoccata.
Sai, una ragazzina che incontrai a Rivorosso, una sera all’Ogre Affamato, mi disse che doveva portarti via. Che dovevamo fuggire insieme. Ironico…vero?

Quando lo invitò a sedersi sulle coperte con lei, spiegandogli delle mappe del cielo che, molto probabilmente, aveva steso lei stessa, il guerriero la osservò per qualche momento in più, come a capire quello che voleva ottenere.
Stare vicino a Fanyare era sempre un azzardo ed anche nei momenti più innocui poteva rivelarsi pericoloso.
Ma lui… non aveva paura di lei.
Non l’avrebbe mai avuta.
D’accordo… vediamo se trovo qualcosa. Si sedette accanto a lei, addentando di nuovo il pane, mentre faceva scorrere lo sguardo alla ricerca dell’ammasso di stelle che ricordava un artiglio.
Piuttosto… possono nascere nuove costellazioni, nel tempo? Forse è per questo che non l’hai mai vista. Azzardò, trattando quei punti come se fosse un gioco collegarli, alla ricerca della risposta.

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Nuove stelle… Ripeté lui, dopo averla osservata. Nonostante tutto era paziente con lui, come un’insegnante che, sotto sotto, voleva che il pupillo capisse quelle carte. Oppure animata da una sadica gioia nel vederlo raccapezzarsi senza capire nulla di quegli scritti.
Erano pieni d’appunti scritti in un linguaggio tecnico che non capiva e lui sapeva soltanto che avrebbe dovuto trovare qualcosa che, in quel cielo, sarebbe potuto rassomigliare ad Arisia.

Guardò prima la carta, poi guardò in alto, concludendo il suo orribile pasto. No, quella roba non era buona e non lo sarebbe mai stata, ma era meglio di nulla.
Davvero nascevano nuove stelle? Oryx si chiedeva come fosse possibile e a chi doveva essere attribuito un miracolo tanto grande.
Gli dei avevano un potere immenso, per puntellare quel cielo di astri luminosi.
Eppure il Guerriero Nero si chiese se, un giorno, con un potere del genere sarebbe potuto essere davvero libero da quella catena che gli stringeva il collo.
Si chiese se con il potere di far nascere una stella, Lui potesse, in qualche modo, fuggire dal destino dal quale non riusciva a staccarsi.
Oppure se in quella stella ci fosse ancora Fanyare.

Tornò a guardare la carta, alla ricerca di qualcosa che poteva ricordare Arisia, senza qualche stella. Sarebbe stato semplice trovare qualcosa che somiglia alla costellazione che aveva visto in sogno, giusto?

Ma poi quella domanda gli fece alzare la testa, guardando Fany, che gli sorrideva in modo diverso dal solito. C’era ancora quella follia, che non l’abbandonava mai.
Ma c’era anche… dolcezza.
Qualcosa di così stano per l’uomo che dovette squadrarla meglio. A chiunque avrebbe fatto paura. Anche a Rivorosso guardando la Tarchionessa la gente si spaventava ma lui, nonostante tutto, non aveva mai avuto paura.
E non l’aveva nemmeno in quel momento.

Eppure a quella domanda non voleva rispondere. Non voleva esporsi. Era un gioco il loro e la paura d’essere ferito ancora una volta, che mai avrebbe detto ad anima viva, negandola anche a se stesso era troppo grande.
Non l’aveva fatto perché era un codardo, ma soprattutto perché quelle parole l’avevano ferito. Certo, gli avevano acceso la rabbia che l’aveva spinto a fuggire, la furia che l’aveva spinto a cercare nuovamente Untavor.
Ma lo faceva per avere potere. Per non essere più banale, per tornare a testa alta da lei. Ma soprattutto non l’aveva fatto perché la vedeva soddisfatta di quello che aveva.
E a lui bastava essere quel cane randagio che lei soddisfaceva di tanto in tanto, con una carezza distaccata. Lei era l’unica che lo tratteneva a Rivorosso.
L’unica che con le sue parole lo faceva rimanere in bilico tra follia e sanità, spingendolo sempre di più verso la prima.
Era possibile che ogni cosa che gli avesse detto a Rivorosso fosse una bugia?
Oppure che il loro stesso viaggio lo fosse?
Forse un incubo che sarebbe finito nel peggiore dei modi…. Oppure il sogno di Oryx di non sembrare banale agli occhi della donna che, volente o nolente, aveva giurato di comprendere e, forse, riuscire ad amare.
Un amore malato e fatto di violenza ed abuso… ma sempre amore.

Si chiamava Viviril, Ilivil… qualcosa del genere. Una mocciosa che si faceva abbindolare come niente. L’idea era qualla di portarmela a letto, ma penso non avesse mai visto un cazzo in vita sua. Rise, sguaiatamente, divertito a quel ricordo.
E poi, guardami? Ti sembro quello che ascolta i consigli d’una ragazzina che puzza ancora di latte? Chiese il biondo, tornando a guardare la mappa.
Alla fine l’aveva fatto però. O meglio… era stata a farlo con lui. No, non voleva proprio affrontare quel discorso. Ne aveva paura.
Ma non l’avrebbe mai ammesso.

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Nonostante quel gioco avesse preso una piega pericolosa, mentre lei si dondolava su quella mano, muovendo lievemente il busto asciutto ed i capelli che dondolavano insieme ad esso, venne stroncata molto presto la conversazione, per piacere sommo di Oryx, che non voleva rimanere solo con i suoi pensieri.
Già. Non è servito. Confermò con un sorrisetto, ascoltando la voce di lei.
Eppure…

Era stata proprio Iveril, quella ragazzina di cui, si, ricorda il nome, a far nascere in lui quel sentimento di rivalsa e fuga.
Voleva scappare da Rivorosso ed era stata la maghetta a farglielo capire. Tutti quei dubbi, quei pensieri tanto intrusivi da far più male della stessa follia.
L’avevano spazzati via insieme, ma la pulce nell’orecchio che la strega bianca gli aveva piantato… rimaneva.
E continuava a muoversi nella sua testa.
Che Oryx, nel suo profondo, sognasse qualcosa che non avrebbe mai potuto avere?

Mentre osservava la mappa del cielo notturno il guerriero nero poté notare qualcosa che, in effetti, poteva somigliare ad Arisia.
La forma era quella, il profilo pure… solo che mancava qualche stella. Che forse fossero nati nuovi astri e che quella costellazione avesse cambiato nome?
Questa… mi sembra molto simile. Manca qualche stella ma, se la metto al posto giusto dovrebbe venire quella che ho visto. Arisia.

Guardo l’oracolo nuovamente, sentendosi soffocare per un attimo da quei dubbi che prima l’avevano colto.
Solo un battito di ciglia.
Dovremmo trovare questa costellazione e vedere se è cambiata. Potrebbe essere un buco nell’acqua… ma abbiamo tutta la notte, se si rivelasse tale.
Disse Oryx, con un sorrisetto divertito.
Forse aveva intuito.
Forse aveva trovato Arisia.