Pece

[Dentro il Bg- Aprile (Minaccia)]- Lune (Soleil)

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    Pece


    Una strada innevata, un silenzio surreale ed una fitta distesa di altissimi alberi andava a stagliarsi davanti alla visuale fin troppo sfocata di un ragazzo,disteso sul terreno e poco conscio di quel che stava accadendo attorno a se. La chioma e la pelle andava a confondersi con la neve, mentre il respiro irregolare e lo sguardo puntato verso il nulla segnalavano fatica, stanchezza, come se quell'individuo fosse appena sfuggito a qualcosa e avesse appena corso per chilometri e chilometri alla ricerca di luogo sicuro. Ma quello poteva davvero considerarsi tale? Il ragazzo, tentò di rialzarsi lentamente ma ogni singolo muscolo del proprio corpo riecheggiava dal dolore, nel costante scricchiolio di ogni singolo osso mosso. Lo sentiva rimbombare nelle orecchie, mentre attorno la pace e l'inquietante silenzio regnavano sovrane. C'era solo lui e l'ignoto del luogo in cui era capitato, della neve che ancora candidamente ricadeva su di se e dell'orizzonte che si stagliava infinito e buio ai suoi occhi. Non sapeva da che cosa era appena fuggito, non sapeva perchè era a terra e non sapeva dove si trovava ma qualcosa di angosciante e pesante risiedeva nel suo petto, un malessere così grave da renderlo febbrile ma non per questo vigile. Una volta alzatosi dal soffice terreno, avvolto da uno scuro e spesso mantello, il ragazzo disperso si guardo attorno alla ricerca di qualcosa, un qualche segnale, un qualche appiglio per poter percorrere la strada giusta ma nulla sembrava volerlo aiutare. Tutto era uguale, tutto era..troppo perfetto.
    Decise di spingersi così alla cieca, iniziando a camminare in mezzo alla neve ma non riuscendo a percepire il rumore dei propri passi e quando quest'ultimo girò lo sguardo per guardarsi indietro, le impronte scomparvero, come se davvero nessuno avesse mai messo piede in quel luogo bizzarro. Non si fece domande, non ebbe il tempo per pensare alle minime stranezze, troppo concentrato a capire come uscire da quel luogo solitario per comprendere che forse c'era qualcosa che era cambiato in lui stesso. Più avanzava, più lo strano dolore continuava a perpetrare dentro di se, come se il peso che stava crescendo nel petto si stesse materializzando realmente. Decise di non fiatare, di non chiamare aiuto, di non tentare di riceve risposta da qualche suddito, da qualche guardia, da qualche famigliare, lui era cosciente di essere..solo.
    Il paesaggio non cambiò per quelle che sembrarono essere ore ed ore di infinito cammino, fino a quando il ragazzo dalla chioma argentea non dovette fermarsi sul posto per colpa del proprio malessere. Si teneva il petto con una mano, il respiro sembrava essere pesante come i passi , fattosi più faticosi sull'ultima tratta. Perchè si sentiva così? Perchè si trovava lì? Perdersi nel panico era l'ultima delle proprie problematiche, mai si sarebbe arreso alla follia pur di perseverare ma quell'ostinata forza di volontà non riuscì a portarlo lontano.
    Iniziò a tossire copiosamente, dovendosi per forza abbandonare nuovamente al terreno, costretto dal peso addosso a se sempre più lancinante, ed ora ritrovatosi a carponi, quel che venne fuori dal proprio malessere risultò essere sangue, ricaduto nella fredda neve dopo l'ennesimo colpo di tosse. Bastarono poche chiazze per cominciare ad allarmare il giovane disperso ,che per sua sfortuna non ebbe davvero il tempo di realizzare l'accaduto, perchè in quella candida ed ora macchiata neve, stava cominciando a sprofondare. "C-cosa...?...No...no,non mi avrai così..." Mormorò a denti stretti, cercando immediatamente di annaspare in avanti per togliersi da quel che era un inevitabile minaccia, iniziando a scavare per venir fuori da quell'improvvisa tomba sottostante, ma quel che la neve nascondeva era un enorme macchia nera, appiccicosa e densa come il catrame che lentamente stava consumando il giovane ed ogni sua forza. "No...non sono disposto a morire così...NON SONO DISPOSTO A FARLO!!" La sua compostezza innata cominciò a creparsi, rivelando piano piano lo sconforto e la paura che l'ignoto stava provocando ma per quanto si sforzasse, ben presto quella lunga ed agognante pozza lo inghiottì completamente, trascinandolo assieme alle urla nell'oscurità più totale. Il suo sguardo riuscì ad intravedere un ultima luce , qualche ultimo candido fiocco di neve prima che un rinnovato silenzio calasse su ogni cosa.

    Il ragazzo riaprì gli occhi ma questa volta era seduto alla sua quotidiana scrivania; il camino era acceso e nella stanza aleggiava un atmosfera rilassante e calda ma seppur il tutto sembrava essere come doveva, il giovane sentiva ancora addosso a se la costante sensazione che qualcosa non andasse. Era conscio di quel che aveva appena sperimentato, di quel che aveva visto e tastando il proprio corpo sentì ancora chiaramente il peso all'altezza del petto essere vivido e pulsante, tanto da provocargli più di un fastidio. Non era qualcosa che voleva ignorare.
    Dopo qualche istante di solitudine, davanti a se e senza alcun rumore o preavviso, la porta dello studio si aprì e la figura del conte Alexander Rayon si presentò tempestiva. Il suo volto sembrava sfocato ma il giovane era ben sicuro che si trattasse di lui. In mano aveva un infinita fila di scartoffie, fogli da controllare e firmare, quel che si aggiunse ad una pila infinita di compiti e doveri che il giovane sapeva di dover compiere. "Guarda quanta strada ancora hai da percorrere, stupido ragazzo. Non sei nemmeno in grado di tenere sotto controllo ciò che personalmente ti ho affidato. Come pretendi di poter diventare conte al mio posto un giorno?" Il tono dell'uomo era disgustato, severo e freddo, cosa a cui il ragazzo non riuscì a replicare. C'era qualcosa di estramamente angosciante in quelle parole ma lui stesso non sembrava in grado di poter parlare davanti a tale presenza. "Sei la disgrazia di questa famiglia, proprio come la tua inutile sorella. Ah ma non ti preoccupare, se sono riuscito a metterla in riga come si deve dopo il suo piccolo tentativo di fuga, posso farlo benissimo anche con te." Il tono si fece decisamente più altisonante ma il ragazzo tentò con tutte le sue forze di mantenere ancora una volta il viso saldo e l'espressione altrettanto dura , eppure quando quell'uomo schioccò le dita, un altra figura apparve accanto a lui. Dalla porta apparve la sorella, Lune, vestita del suo più bell'abito di corte, ricoperta da ninnoli e gioielli e da un trucco eccessivamente pesante lungo il viso, le braccia e persino le mani; ogni parte di lei sembrava essere ricoperta da uno spesso strato di cipria ed il motivo per tale decisione era molto semplice. Con sguardo inorridito, il ragazzo poté notare diversi lividi, graffi e tagli lungo ogni centimetro della sua pelle ed un sorriso innaturale che completava quel viso sfigurato dalle crudeltà del padre. "Visto? Ora sì che lei può definirsi perfetta." Replicò lui prima che il giovane spalancasse gli occhi e tentasse di scattare dall'altra parte del tavolo, cercando di ignorare il dolore per fomentare la rabbia e la preoccupazione immensa che sormontarono ogni cosa. "COSA LE HAI FATTO!?" Ma quella frase colma di furia riuscì a sbocciare solo nel proprio pensiero, nulla uscì dalle labbra serrate del ragazzo e nemmeno il suo tentativo di alzarsi dalla sedia andò a buon fine. Qualcosa lo stava trattenendo, qualcosa di familiare ma bastò abbassare lo sguardo dietro di se per notare ancora quel liquido nerastro appiccicato alla schiena e che lentamente colava dal proprio petto,nel punto più dolente: all'altezza del cuore."No...non...non ancora." Il respiro si fece nuovamente affaticato ma più tentava di liberarsi, più quella strana sostanza desiderava inghiottirlo. "E' un peccato che per te ci vorrà più che una semplice rassettata. Prima di tutto, dovrei riuscire a raccogliere ogni singola goccia di rimorso e di senso di colpa che stai lasciando per terra." Replicò l'uomo prima di scoppiare a ridere, una grossa e fin troppo forte risata che rimbombò nelle orecchie del ragazzo, inorridito e nuovamente costretto ad impanicarsi nel tentativo di uscire da quel momento. "Fatelo smettere!!!! Lasciami andare..!! Non lo posso permettere! NON MANDERO' TUTTO IN ROVINA! " Tentò di gridare come prima con ogni fibra del proprio corpo ma tutto ciò che la visuale riuscì a vedere prima di diventare nuovamente nera, fu il viso di Lune, perfetto nel suo sorriso costretto, dove una singola e sola lacrima scese dal suo viso, accompagnata da un sussurro fievole ma talmente doloroso da potersi comparare ad una pugnalata al petto.

    "E' tutta colpa tua."



    Soleil si svegliò di colpo, portandosi a sedere sul materasso, avendo un enorme fiatone addosso e ritrovandosi ricoperto di sudore per quel che alla fine era stato semplicemente un incubo. Gli occhi rimasero spalancati per minuti interi, nel buio della propria stanza.Tutto sembrava essere normale, seppur lui stesso sentiva di non esserlo affatto. Cercò di scuotersi leggermente, passando una mano sul viso più e più volte, nella constatazione che fosse finalmente tornato alla vita reale ma non appena realizzò di aver sognato, un senso di malessere cominciò a sormontarlo per davvero. Quella era la terza volta in una settimana che sperimentava incubi così vividi e sapeva benissimo il perchè di quelle visioni febbrili. Lune era fuggita, la casata era sull'orlo delle male lingue e lui da solo non sembrava più essere in grado di mantenere un alto profilo sia con il padre che con i loro alleati. Sentiva di stare arrivando al limite ma non poteva permetterselo, doveva mantenere la calma, doveva tenere i denti stretti per pianificare un futuro migliore e seppur finalmente fosse riuscito ad aiutare la sorella a lasciarsi alle spalle un futuro di prigionia, lui avrebbe dovuto ancora sopportarlo."Dannazione..." Si alzò dunque dal letto, dirigendosi verso la finestra ed osservò il cielo, nella ricerca di pace, lasciando che quell'espressione di costante freddezza e risolutezza cadesse per qualche istante, sostituita dallo sconforto di poter perdere ogni cosa. "Se sono gli incubi a cui dovrò sottopormi ogni notte per nascondere la verità, così sia. Devo portare a termine il lavoro, ho dato la mia parola.Ho dato la mia...parola." Ripetè più e più volte quelle frasi ma si fermò poco dopo, alzando la mano all'altezza del petto nuovamente, cercando di soffocare l'unica cosa che di quel sogno non era davvero una finzione:

    il senso di colpa.


     
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