Cheers

[Dentro il BG Aprile 2024 - Minaccia - Duncan]

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    Cheers

    Alistair venne a conoscenza solamente in un secondo momento del fato del suo tanto adorato fratello, venne alla scoperta di quel mistero oscuro, chiarezza fu fatta sulla sparizione di Caleb. La povera Evangeline aveva rivelato i dettagli omessi dal padre che per comodità aveva accennato al primogenito che suo fratello era scappato di casa poiché veniva ignorato dal fratello. Per più giorni e più notti Alistair si era tormentato la vita, non mangiando e non dormendo al solo pensiero che la colpa fosse sua, che le sue mani fossero macchiate del sangue di suo fratello. L’intervento della madre salvò almeno in parte il figlio dall’essere mangiato da pensieri distruttivi, la colpa non era altro che di Edmund, solo lui aveva le mani sporche di quel sangue, solamente lui era il vero responsabile e noncurante nemmeno di questo aveva scaricato la colpa sul figlio rimasto alla magione così che potesse essere una marionetta ancora più perfetta per i suoi piani?
    No, Alistair non era decisamente di quell’avviso. Avrebbe giocato, avrebbe partecipato ad ogni round di quel gioco contorto come gli era stato insegnato, avrebbe ingoiato terra, avrebbe sorriso a cattivo gioco ma mai, e sottolineiamo mai, si sarebbe tirato indietro: suo padre doveva pagare e con gli interessi per quanto aveva osato fare alla SUA famiglia.
    Abiti scuri, altri sgargianti, ma tutti eleganti degni all’evento al quale si partecipava. Ogni festa era tale solamente se i nobili potevano ridere tra loro, gioire delle loro ricchezze, bere e mangiucchiare qualcosa ai fin troppo forniti tavoli del buffet. Non presentarsi era anche solo una mancanza di rispetto e non una possibilità nemmeno contemplabile da chi muoveva ancora i suoi fili: Alistair era solo una marionetta nelle mani di Edmund che muoveva come più riteneva meglio.
    Una recita, una mascherata dove tutti dovevano mettere in atto la propria parte nel grande spettacolo che era l’alta società che stava imparando pian piano nel conoscere, addentrandosi dentro di essa come un avventuriero alle prime armi in un dungeon decisamente fuori la sua portata da dove con molte difficoltà ne sarebbe uscito vivo. Alistair odiava quanto doveva fare, come doveva comportarsi davanti agli altri, fingere sorrisi di cortesia, stringere mani e assecondare ogni idea di quel mostro.
    Ogni respiro con il quale l’uomo che più disprezzava si riempiva i polmoni era un furto, ossigeno rubato a qualunque altro essere che decisamente meritava di più di quel mostro quella boccata d’aria.
    La festa fortunatamente volse al termine e Alistair venne richiamato nelle stanze del padre dove questo voleva conferire con lui in privata sede, non che avesse una qualche importanza, tutti in quella magione erano al suo servizio e dovevano sottostare ai suoi ordini. L’uomo si rivelò essere davanti al caminetto che godeva del caldo scaturito dal fuoco, ritto sulle proprie gambe con entrambe le mani poggiate sul bastone da passeggio. Esordì che buone nuove erano appena arrivate, un matrimonio combinato tra la loro famiglia e un’altra casata di nobili di quelle terre.
    Un boccone amaro venne buttato già al ricevere simili informazioni ma il volto rimase calmo, un sorriso soddisfatto si presentò sulle labbra del primogenito che si avvicinò alla scrivania dove prese due bicchieri versando in essi il liquido ambrato di una bottiglia per festeggiare. Certi Rayon avevano una figlia che necessitava di marito, l’unione dei due non solo avrebbe consolidato le già presenti ricchezze ma avrebbe favorito anche un’erede che avrebbe continuato la loro genie.
    Ogni parola era affilata come un coltello che cercava di ferire Alistair che però non smise di sorridere al padre mostrandosi più che contento per quanto gli veniva confidato.
    Ma un tasto dolente, un passo falso venne compiuto dall’anziano che osò anche solo pronunciare un nome che da molti anni in quella casa non veniva detto per paura delle reazioni che si potevano ottenere: Caleb. Il padre rise e derise Caleb che stupidamente aveva avuto interazioni con ragazzetti disgraziati del popolo, ironizzò su come fosse morto nel giro di pochi giorni lontano da quelle mura più che sicure per loro.
    Il sorriso di Alistair quel giorno si spense, un’espressione distante, il suono di uno specchio che si infrange disgregandosi in mille pezzi.
    Il castano poteva sopportare tutto, abusi, ordini inumani e che quel vecchio bastardo potesse controllare la sua vita ma solamente ad una cosa non poteva rimanere impassibile e quella era proprio il mal parlare di suo fratello. Mentre l’uomo era ancora intento nel parlare un veloce colpo al centro del petto gli fece mancare il fiato, obbligandolo nel piegarsi in avanti, il viso che ora guardava verso il basso poté vedere un nuovo pugno, un montante dal basso verso l’alto che fece cadere Edmund a terra mentre con un movimento del piede e successivamente della gamba stessa Alistair prendeva possesso del bastone da passeggio del padre.
    Quest’ultimo chiaramente urlò furioso e dolorante con il fiato corpo ma il figlio certamente non si fermò, nel suo sguardo si poteva chiaramente una scintilla. L’odio accumulato in tutti gli anni, le angherie subite, gli ordini ricevuti ai quali doveva obbedire, tutto si era accumulato fino allo scaturire di quel momento. Il bastone si rivelò, una lama nascosta che anch’essa brillava di rimando data la luce del fuoco che ardeva nel caminetto. Suppliche, preghiere da parte del padre ma niente venne ascoltato dal primogenito che divenne a tutti gli effetti il legittimo proprietario della fortuna degli Stormborn.
    Il bicchiere che era stato posato sul tavolo venne recuperato dalla mano di Alistair, versò metà del liquido ambrato sul corpo per poi muovere i propri passi verso la porta finestra che dava ad un terrazzo, poggiò i gomiti sulla fredda pietra che impediva di cadere, che come un recito lo teneva imprigionato. Alzò il bicchiere al cielo, come per un brindisi per poi bere il restante del contenuto.
    « Caleb, la minaccia di nostro padre è terminata. »
    Una pausa, il capo che si agitava da destra verso sinistra prima che quelle parole potessero riprendersi alla sola spettatrice silente dell’accaduto, la volta celeste.
    « Non odiarmi, ma prenderò il suo posto, voglio vincere questo gioco malato. »





    Lontano dalla magione Stormborn, molto distante da quanto stava accadendo un diverso fuoco stava crepitando lanciando piccole scintille al cielo, risate, balli e musica stavano prendendo luogo attorno a quel falò che cercava di illuminare al meglio la zona circostante aiutato anche da piccoli globi di luce che danzavano anch’essi. Una carovana di artisti itineranti che avevano richiesto protezione per poter passare una foresta ma che avevano deciso di fermarsi e riposare per la notte creando un vero e proprio accampamento.
    Distanziatosi però dalla ribalta e dai rumori troppo forti, con la schiena poggiata contro il tronco di un albero riposava Duncan. Il corvino osservava i festeggiamenti svolgersi senza però unirsi ad essi, l’unica cosa al quale aveva acconsentito era un boccale di birra, certo, faceva schifo come poche cose ma risultava qualcosa con il quale poteva tenersi al caldo per quella notte oltre al suo giaciglio ormai temprato dal tempo.
    Ma cosa avevano da festeggiare poi così tanto? Quello stesso pomeriggio grazie al corvino e le altre guardie assoldate per la loro protezione era stata sventata una rapina, banditi avevano difatti bloccato la strada con un tronco e avevano in un secondo momento accerchiato i carri per poi puntare le armi richiedendo tutti i soldi e oggetti di valore in loro possesso. Per la fortuna di tutti la situazione si concluse nel migliore dei modi con i banditi in fuga e pochi addetti alla protezione feriti ma vivi, meglio con qualche graffio ma con ancora aria nei polmoni.
    Eventi del genere erano all’ordine del giorno per chi come lui viveva di simili incarichi, la minaccia era sempre dietro l’angolo con chissà quale altro pericolo a braccetto. Un duo fin troppo pericoloso ma che fino a quel momento aveva trovato Duncan sempre preparato, in un modo o nell’altro.
    Il corvino scosse il capo sospirando, la nuca trovò riposo poggiandosi al duro tronco e lo sguardo si rivolse al cielo, la mano destra, quella che saldamente teneva il boccale colmo di birra si alzò verso di esso versando inevitabilmente qualche goccia del contenuto per terra cosa che provocò una piccola bestemmia da parte di Duncan che dopo un secondo sospiro continuò con quel brindisi al cielo, non seppe spiegarsi bene il motivo, forse risultò un qualche istinto, una qualche parte della sua mente che gli diceva di farlo e lui, per una volta ogni tanto non si oppose a quella bizzarra idea finendo quindi per brindare ad un cielo stellato ma vuoto allo stesso tempo.
    « Alla tua salute. »
    Parole rivolte a nessuno da un nessuno che, successivamente chiuse gli occhi buttando giù quella birra di terza se non di quarta categoria.

     
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