Il Cavaliere e La Fornaia

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    Florian Buchard
    Il Cavaliere e La Fornaia Dolce


    L’uomo raccolse la spada da terra. L’armatura scintillava al sole del tramonto e davanti a lui l’enorme creatura ruggì, facendo tremare la terra.
    Il cavaliere però non vacillò, stringendo l’arma per l’ennesima volta. Non importa quante volte sarebbe caduto. Quante volte avesse dovuto raccogliere la spada da terra. Non si sarebbe arreso.
    Preparati… Bestia. La minacciò, con l’enorme arma, puntandogliela contro. La lama baluginò, mentre il cavaliere dai capelli dorati assaltava l’avversario.

    Le grandi Ali, la coda mostruosa e le fauci enormi della bestia non poterono nulla contro quell’attacco da parte del combattente, che assestò al terrore alato due possenti colpi. Eppure quello non fece altro che indietreggiare lievemente, senza cadere.

    Il Suo avversario però sorrise. Sei un osso duro quindi. Ma non puoi vincere. Proteggerò la mia città e la mia gente. Sembrava che quelle parole venissero fuori da un racconto delle fiabe, su cavalieri e giovani dame, imprese leggendarie e creature mitiche, eppure da quel combattimento dipendeva la sopravvivenza di Aime. Anzi, forse di tutta la valle.
    Il combattente strinse la spada. Aveva sempre odiato i draghi. Laide e avide creature, capaci solo di mutilare e far soffrire la gente innocente per arraffare tesori. Ingordi e spaventosamente orribili.

    Il Cavaliere corse, nonostante l’armatura, contro il suo avversario, per provare ad infliggergli un colpo letale sul ventre, senza scaglie e quindi più semplice da colpire.
    Tuttavia non aveva fatto i conti con la tenacia della creatura, che lo respinse con un colpo di coda. Ma l’eroe fu prontò, parando e tornando al punto di partenza.

    Pensi d’avermi sconfitto con questo semplice colpo, Bestia!? Lo maledisse il cavaliere, stringendo nuovamente la spada.
    Ruggito di Luce, l’aveva chiamata. La lama che mai avrebbe sbagliato un colpo, perché incantata e guidata da nobili intenti.
    Cadi!!!! Gridò, lanciandosi all’attacco, per niente spaventato da quel ruggito.

    *****

    AMBROSE!?
    La voce di Camille, raggiunse il bambino con la spada in mano, prima che tirasse l’ennesimo colpo alla cassapanca di legno.
    La donna era stata allarma dai rumore che proveniva dalla piccola camera del figlioletto, sopra il forno ed aveva deciso d’andare a controllare.
    L’aveva trovato intento a giocare con la sua piccola spadina di legno, combattendo contro un nemico inesistente ed abbattendo la sua furia contro la povera cassapanca. Cosa stai facendo? Chiese la donna, con sguardo severo.
    I Capelli ricci e biondi, erano sistemati dietro la testa in modo da non ricaderle sul viso ed il grembiule di stoffa era coperto da quella che sembrava… farina?
    Che ore erano?

    Quando la donna l’aveva chiamato, l’incantesimo immaginario di Ambrose s’era spezzato ed il piccolo, che ormai aveva 5 anni, si ritrovò di fronte a quello che poteva essere un avversario ancora più temibile d’un drago: Una Madre. E sembrava anche parecchio arrabbiata. Stavo… giocando. Si giustificò lui, abbassando lo spadino.
    La donna sospirò, avvicinandosi alla cassapanca, che aveva una lieve ammaccatura. Ne abbiamo già parlato Ambrose. Non puoi usare la tua spada in casa, perlomeno vai nel retro bottega, dove ci sono i sacchi di grano, quelli non è un male se li danneggi… la donna scosse la testa. Metti a posto quella spada, ci siamo intesi? gli disse, con un sospiro. Alla fine era solo una cassapanca, ma il piccolo doveva imparare a non danneggiare gli oggetti, durante i giochi.

    Scusami mamma… non me ne sono accorto, mi sono… lasciato andare. Si scusò lui, appoggiando lo spadino di legno sul letto. Camille in realtà non riusciva ad essere troppo severa con il figlioletto. Lui l’aiutava come poteva e dopotutto era un bravo bambino: Ubbidiente, gentile, comprensivo, per niente pretenzioso… solamente viaggiava troppo con la fantasia e forse era anche colpa sua, che gli raccontava tutte quelle storie.
    Va bene… adesso però vieni ad aiutarmi, ho bisogno… d’un assaggiatore.

    Ambrose, a sentire quelle parole, scattò dalla madre. Quando la donna gli diceva quelle cose era perché aveva preparato qualcosa e voleva che fosse lui il primo ad assaggiare un nuovo manicaretto. Che fosse del pane o qualche altro tipo di dolcezza, il biondino era sempre felice d’assaggiarlo.
    Si! Andiamo! Disse, dimenticando il fatto che stesse giocando contro un drago immaginario fino a qualche minuto prima.

    I due scesero al piano inferiore, dove la donna aveva messo quella piccola ma apprezzata attività, con qualche piccolo aiuto da parte d’un amico d’un amico del padre, da quello che sapeva Ambrose. Il forno era uno dei posti dove il bambino amava passare il tempo. Un luogo meraviglioso, sempre pieno di buoni odori e dove la madre faceva lavorare la sua fantasia.
    Dolce o salato, per il ricco o per il povero, Ambrose aveva provato ogni cosa che Camille aveva preparato in vita sua.
    O meglio, da quando aveva avuto l’opportunità di mangiare.

    Mettiti seduto lì, tesoro, stai buono. Gli disse la donna, mentre s’avvicinava ad un piccolo panno, che copriva qualcosa. Il bambino ubbidì, senza fiatare, sedendosi sullo sgabello e muovendo le gambine. Era difficile per lui stare davvero fermo e la donna lo sapeva. Infatti fu molto presto di ritorno con quella che sembrava una fetta di pane… ma con dentro qualcosa. Sembrava…
    Cos’è mamma? gli chiese il biondino, osservandola mentre lei gli porgeva una fetta di quel pane così strano.
    E’ un pane dolce. Con un aggiunta di qualcosa. Provalo e dimmi come ti sembra. E mi riaccomando…. Sincero. Si raccomandò lei.

    Il piccolo prese la fetta tra le mani, addentandola.
    Era un impasto dolce, con dentro quella che sembrava uvetta. Sembra essere un fine pasto, piuttosto che un accompagnamento d’esso.
    Il gusto era delizioso e si faceva mangiare in morso dopo l’altro.
    La mollica era molle, molto più compatto d’un normale pane. Era… buonissimo. Dolce e gustoso. Un cibo… da ricchi?
    Mamma è buonissimo! Come l’hai fatto? Lei sorrise, toccando il nasino del bambino. Mi sono ispirata alla dolcezza d’una persona di mia conoscenza. Gli confesso, con un sorriso furbetto, che andò a creare quelle belle fossette sulle guance della donna.

    Ambrose ci mise un po’ a capire che il complimento era per lui e non poté che sorridere felice. Nonostante quella “Dolcezza” non riesca a stare fermo e faccia qualche danno, a volte. Lo riprese la donna, andando a coprire nuovamente quel nuovo pane, prima d’avere un colpo di tosse.
    Ambrose non lo sapeva, ma sua madre… sapeva che qualcosa non andava.

    Quindi il segreto della tua cucina… è la dolcezza? Chiese il piccolo, alzandosi dallo sgabello e raggiungendo la madre.
    Lei lo osservò, chinandosi alla sua altezza. Anche. Ma soprattutto pazienza e fantasia. Questa era una prova ma quando sarà ultimata voglio che sia l’alternativa per noi gente di paese alle dolcezze dei Nobili. Sono sicura che potrebbe piacere a molti. Ho intenzione di presentarlo alla prossima festa del Raccolto… spero che anche il Duca possa assaggiarlo.

    Il bambino, ancora ingenuo e con gli occhi innocenti, sorrise alla madre. Sono sicuro che gli piacerà! Com’è piaciuto a me.
    Camille non poté far a meno di sorridere. Grazie, tesoro. Adesso però devo pulire… Ambrose, prendendola in contropiede esclamò. Ti do’ una mano! Mi faccio perdonare per prima!

    I due si misero a pulire il forno con perizia. Ambrose passava in maniera vigorosa lo strofinaccio sul bancone, mentre Camille faceva il grosso, con una scopa di setole di paglia.
    E mentre s’impegnavano per rendere quel posto lindo e pinto, il bambino fece una domanda che la donna non s’aspettava. Mamma… ma perché hai deciso di fare la fornaia? Non bastavano i soldi che ti ha lasciato papà? Chiese, con innocenza.
    Camille si bloccò per un attimo. I soldi di suo padre erano stati utilizzati bene ed il Duca era stato felice di sapere di quella nuova attività e mai avrebbe smesso d’aiutare lei ed Ambrose, nonostante Camille non volesse nient’altro da lui.
    Aveva già fatto tanto. Voleva…
    Sai… per una mamma sola è difficile campare, soldi o non soldi. Volevo però seguire un sogno, e poter dire d’aver fatto qualcosa anche da sola. Ho sempre amato cucinare, panificare… tuo nonno era un fornaio, prima che una malattia lo portasse via. Ho raccolto la sua eredità. Forse ce l’ho nel sangue.
    C’erano così tante cose che Ambrose non sapeva, ma era un bene così. Non doveva sapere che lei era una prostituta, in passato.
    Che suo padre… fosse il duca in persona. Era pericoloso per entrambi. Sia per Lui che per Florian.

    Quindi anche io… devo essere un fornaio? Chiese d’un tratto il bambino, guardando la madre. Lei s’avvicinò, mettendogli una mano sulla testolina riccioluta. Quello che vale per me… non vale anche per te, tesoro. Tu.. potrai essere quello che vuoi. E penso che tu sappia già cosa vuoi essere. Ambrose annuì, guardandola.
    Allora non farti dire da nessuno cosa puoi e cosa non puoi fare, dolcezza. Qualsiasi sia il tuo sogno, perseguilo. Non importa quante volte cadrai… dovrai sempre rialzarti se davvero ci tieni. E so… che tu ci tieni Ambrose.

    Il biondino rimase colpito dalle parole della madre che, anche quella volta, aveva colto nel segno. Era sicuro che lei sapesse che lui voleva diventare un cavaliere. Era sicuro che lei sapesse che il suo sogno era combattere.
    Era sicuro che lei sarebbe stata fiera se lui fosse diventato come suo padre.
    Si! Diventerò il cavaliere migliore del regno. Come papà! Anzi meglio! Anche meglio del Duca! Camille rise divertita da quell’affermazione, prima di dar un bacio sulla guancia del figlioletto. Un dono per te, allora. Spero di poter essere la tua dama.
    Il bambino arrossì lievemente, mettendosi una mano sul cuore. Si, Mamma! Sarai fiera di me! Sembrava un giuramento, quello del bambino.
    Qualcosa a cui Camille, in quel momento, credette fermamente.
    Però… mi daresti un altro pezzetto di quel nuovo dolce? Non sono così sicuro d’averlo assaggiato per bene.




     
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